L’idea dello spettacolo è quella di una macchina sonora a sfondo lucido.
Nell’apparente semicerchio di un’orchestrina tuttofare, il narratore, colui che possiede la storia, è circondato da una terna di aiutanti magici, diabolici parenti stretti di quel suonatore di violino che tanto fece tribolare il buon soldato, a volte ironici compagni di strada, a volte sbandati, innocenti come angeli caduti dal cielo.
Essi assillano il raccontatore, entrano nelle sue parole, lo accompagnano all’azione. Alle spalle del raccontatore questi tre spiritelli musicali muovono giocattoli sonori che vanno dalla preistorica conchiglia marina al computer, passando per pianole, zucche vuote, chitarre, timpani, campionatori e tamburi.
Nella costruzione di una partitura corporea di gesti-suono, i tre musicisti sono sempre all’erta, tra di loro si fanno segnali segreti, se la intendono col fonico alle spalle del pubblico, anch’egli più che mai diabolico vista la capacità che ha di togliere fiato alle voci.
Le loro musiche non illustrano le azioni narrate, piuttosto le insidiano, le pressano o le scompaginano fino a far perdere la trebisonda della voce e del senso.
La direzione che ho imposto al lavoro, durante il montaggio e nelle fasi di esplorazione improvvisativa, ha spinto il racconto orale, di solito lineare e diacronico, a farsi sonorità dilatata, musica tout court.
Non è la prima volta che lavoro a dirigere Marco in un percorso di narrazione. Ma qui i giochi digitali, le distorsioni rumoristiche, le composizioni musicali sono essi stessi voci in altro modo narranti. Tutta questa congerie di sonorità sposta di continuo il filo della narrazione e il raccontatore deve a vote lasciarsi andare a gioco senza opporre resistenza, oppure altre volte cercare di essere saldo in mezzo alla bufera.
Credo che da questo ensemble sonoro narrativo scaturisca, come nel racconto di Chamisso, un clima di sospensione, un’attesa di eventi al limite della realtà: un’atmosfera sognante e strana aleggia di continuo nella partitura. Per un attimo la musica-parola ci conduce nell’oscurità dei sentimenti, ci si esalta per una inaspettata felicità per poi ricadere nell’angoscia, ma già un’altra musica storpiata e vitale, ci riconduce a ballare l’esistenza, poi la melodia si fa dolce e sembra dipanare i grovigli dell’anima. Ma l’inquietudine resta, eco di una voce frusciante, sonorità di un sorriso diabolico.

Maria Maglietta