DOMANDE & RISPOSTE: MARCO BALIANI&STEFANO ACCORSI
(a cura della Fondazione Teatro della Pergola di Firenze)

 

Da Furioso Orlando – lo spettacolo che avete portato in scena la scorsa stagione – a Giocando con Orlando, com’è cambiato il suo modo di confrontarsi con un autore come l’Ariosto?

Marco. In questa versione ho insistito molto di più sul senso del gioco teatrale e penso che la struttura narrativa dell’Ariosto si possa piegare bene ad una struttura più ludica e corporea. Per questo ho chiesto a Mimmo Paladino di aiutarci in questo gioco con le sue sculture cavalline, cavalli coloratissimi che sembrano anch’essi  sospesi in una giostra, pronti a muoversi in tondo, come sognanti cavalli di imprese eroiche ancora da compiersi. L’aspetto fisico del nostro lavoro d’attore diventa predominante e presenta molte sorprese legate alle parole e all’improvvisazione sulle rime, recuperando la tradizione popolare del canto in rima. Il gioco consiste nell’infilare, dentro la struttura compositiva del poema ariostesco, tante possibilità di digressione in rima che sembrano portarti via dal racconto, ma che in realtà ti riconducono sempre al filone centrale da noi scelto, quello dell’amor contrastato e conteso. Abbiamo creato dei pezzi nuovi rispetto allo scorso anno, rivisitando l’Ariosto: raccontiamo la storia dell’innamoramento di Rinaldo per Angelica, di Orlando che va a liberare Olimpia dall’orca assassina… Quello che emerge vedendo lo spettacolo è soprattutto un senso di nostra complicità nel giocare sempre molto fisico e a tratti quasi infantile. L’idea di questa versione è nata mesi fa ad Asti, un giorno che non erano arrivate le scene del Furioso Orlando e l’attrice, Nina Savary, non ce l’aveva fatta ad arrivare da Parigi. C’erano più di ottocento persone paganti e così, siccome the show must go on, io e Stefano abbiamo cominciato ad improvvisare e a giocare molto in scena. Ed è proprio quella sensazione unica, provato in quell’occasione, come dire, senza rete, che cerchiamo di ricreare in scena, quel senso di sospensione dato dall’inconsapevolezza, non sapendo in precedenza quale strada intraprendere.

Stefano Quest’anno siamo io e Marco Baliani in scena, l’approccio è molto giullaresco e fisico, con un rapporto forse più maschile verso la materia narrativa. La traccia è simile, si racconta sempre la storia di Orlando e Angelica, così come quella di Ruggero e Bradamante – ma il taglio è giocoso, quasi comico: il nostro è un modo di giocare con il testo e anche con le convenzioni del teatro, rendendo così il pubblico più partecipe dei nostri meccanismi scenici.

 

Uno dei temi principali di Giocando con Orlando è l’amore; vedendo lo spettacolo, che cosa si comprende di questo sentimento?

M.B. Sicuramente che l’amore è un sempre una questione di contrasti, anche quando due si amano, non c’è mai pace ma sempre tensione. Inoltre oggi esiste un elemento maschile concupiscente in eccesso, molto compulsivo e passionale: pensiamo, per esempio, ai femminicidi e l’Orlando Furioso è un prototipo di questo discorso. Per fortuna Orlando non ammazza Angelica ma soltanto perché, ormai fuori di senno, non la riconosce, altrimenti la farebbe a pezzi! E’ il meccanismo della gelosia che nasce dentro l’animo maschile e anche nell’amore, bello, tra Bradamante e Ruggero si innesca l’elemento maschile perturbante: Ruggero insegue tutte le gonnelle che vede, quindi è espressione dell’uomo che non riesce ad essere fermo nell’unico amore della sua vita e  ha sempre bisogno di fuggire immaginandosi altre storie.

S.A. Nello spettacolo si beve ad una certa fonte magica  e ci si innamora della prima persona che si incontra, si beve a un’altra fonte e si odia  allo stesso modo la prima persona che passa accanto .L’amore è una parola ambigua che racchiude tante cose.
A volte si chiama amore tutto ciò che in realtà non lo è, ci si innamora senza i giusti motivi. L’amore dipende da tante cose che sono in noi, cose che dobbiamo ancora comprendere e regolarizzare in noi stessi. E poi nell’Orlando c’è la gelosia, il tema di come l’amore possa anche essere, a volte, ingannatore.

Rimane ancora qualcosa da scoprire nell’Ariosto? Si può ipotizzare un Orlando 3.0?

M.B. Nell’Ariosto ci sono almeno sei o sette filoni narrativi diversi: c’è quello dell’amicizia, che è strepitosa, anche fra nemici; si può individuare anche il tema della figliolanza o quello della fedeltà… Ariosto, con le sue invenzioni narrative, è stato il primo autore, per così dire,  seriale,  e,  con la figura di Orlando, è precursore anche del romanzo moderno, se oggi fosse vivente scriverebbe sceneggiature per le fiction, non ho dubbi!

S.A. È un testo vastissimo, le cose da scoprire sono ancora tante… Mi sembra che non possiamo ancora definire totalmente questo autore, anche tra i due spettacoli che abbiamo messo in scena gli ingredienti appaiono simili, ma in realtà non si finisce mai di approfondire certe tematiche.

C’è un altro scrittore/poeta che nel futuro potrebbe affrontare nello stesso modo?

M.B. Il prossimo autore che vorrei tradurre sulla scena è Boccaccio. Pasolini ne trasse un bellissimo film. Si era affidato alla rappresentazione iconografica medioevale e su quella aveva ideato tutto il film, con al centro il tema dell’eros. Nel Decamerone di Boccaccio si parte da un punto ben preciso: si raccontano storie per non morire, finché esiste il racconto la peste non ci tocca. Il tema da cui vorrei partire è che la peste non è soltanto un’epidemia biologica, ma è una peste morale quella che attualmente ci circonda. Allora, per proteggerci, noi stiamo in scena come fossimo su una collina di Firenze: raccontiamo storie.

S.A. Mi piace molto questo viaggio che abbiamo intrapreso nella letteratura. Abbiamo già annunciato l’ipotesi di allestire in futuro il Decamerone di Boccaccio, è un esperimento… Eventualmente si potrebbe pensare anche ad altri scrittori. I classici sono fonti inestinguibili di tesori e sorprese, di opportunità per attori e registi. L’importante è che, qualsiasi autore si scelga di rappresentare, alla fine il testo parli di noi. Chi viene a vedere lo spettacolo deve riconoscersi in quello che vede e ascolta. E Marco Baliani, nel suo modo di fare teatro, cerca sempre di creare questa empatia tra il pubblico e lo spettacolo, mira alla comprensione, e questo anche con spettacoli spesso non facili.