Opera in un atto
Libretto di Giovacchino Forzano
Musica di Giacomo Puccini
Direttore Marco Guidarini
Regia Marco Baliani
Scena e Luci Lucio Diana
Costumi Stefania Cempini e Lucio Diana
Personaggi e interpreti
Gianni Schicchi Angelo Veccia
Lauretta Veronica Granatiero
Zita detta “La Vecchia” Mariangela Marini
Rinuccio Pietro Adaini
Gherardo Alessandro Fiocchetti
Nella Zuzanna Klemanska
Gherardino Elena Mancia
Betto di Signa Eugenio Di Lieto
Simone Luca Dall’Amico
Marco Matteo Torcaso
La Ciesca Maria Krylova
Maestro Spinelloccio/Guccio tintore Johnny Ronen Bombino
Messer Amantio di Nicolao Davide Bartolucci
Pinellino calzolaio Piersilvio De Santis
nuova produzione Fondazione Teatro delle Muse
DENTRO GIANNI SCHICCHI UN PO’ DEI FRATELLI MARX / 25 agosto 2021
Domani ad Ancona incontrerò i cantanti che daranno voce ai personaggi dell’opera Gianni Schicchi di Giacomo Puccini. Marche Teatro mi ha proposto di firmare la regia. Finora ho sempre diretto, e a volte anche scritto i libretti di opere contemporanee, con compositori di talento, con cui sono entrato in sintonia fin dalle prime prove. Ora invece il compositore è eccelso ma dimora in altri lidi, e non mi è possibile interloquire o confrontarmi con lui. Del compositore Puccini resta la musica strepitosa che al solo ascoltarla fa venir voglia di ridere. Ed è questo uno dei motivi che mi ha spinto ad accettare la proposta.
E poi i cantanti, la carne viva dell’opera, con loro vorrei creare un andamento buffonesco, che trasformi l’opera in un allestimento teatrale di corpi ridicoli e comici. La mia ispirazione saranno i film del fratelli Marx, dove esiste una partitura di gesti apparentemente caotici ma irresistibili nei loro meccanismi scenici. Se ci riesco vorrei che i corpi dei cantanti obbedissero a una sequenza di gestualità, da trovare insieme, che esalti la trama comica dell’opera, col morto sul letto che diventa quasi corpo vivo nelle iniziali falsissime preghiere, negli insulti, nella ricerca del fatidico testamento.
Evitando quello che nell’opera non ho mai potuto sopportare, quelle pantomime in cui i cantanti fingono dialoghi inesistenti o ingigantiscono con facce e gesti gli accadimenti scenici, cercando di spiegare e mimare quell’inspiegabile che invece è la musica, il canto, e la complessità dell’insieme.
Mi farò aiutare dalla ricca povertà delle scene di Lucio Diana, e delle luci. Come piace a me, la scena sarà quasi vuota con un solo letto a baldacchino intorno cui far ruotare la truffa di Schicchi ai danni del parentado borghese smanioso di ereditare dal morto la cospicua messe di beni. La furba cialtroneria di Gianni Schicchi deve essere riverberata da mani, facce, movimenti, un turbinio continuo che dia risalto alle singole voci, costruendo il gruppo dei parenti come un unico affiatatissimo coro che, quando serve, amplifica la singola gestualità di ciascuno, generando sorprese come di continuo fa la musica di Puccini che non molla mai la presa, non si distanzia, resta fedele alla rissa comica e alla sgargiante bricconaggine dello Schicchi.
È una storia di testamenti mancati, di cialtroneria, di furbizia truffaldina, una storia vecchia come il mondo, che Puccini riesce a trasformare in un’esilarante comicissima vicenda di invidie, sberleffi, accanimenti, inganni. Un coro di borghesi arricchiti, che già si sentono superiori al volgo, da cui pure un tempo provenivano, e che vengono invece turlupinati proprio da un genio popolare che ne ridicolizza le pretese.
Ascoltando la musica che Puccini compose per il Gianni Schicchi, si viene percorsi da un irrefrenabile moto di gioiosità. Me lo figuro, l’autore, avvolto nelle volute del suo inseparabile sigaro toscano, mentre butta giù le prime note, e già il sorriso gli si stampa in volto e poi, mano a mano che la composizione prende forma, lo sento ridere, da solo, come accade nei momenti più liberi delle nostre vite, ridere di come si sta già immaginando la scena, i cantanti, con le parole del librettista Forzano che diventano canto, guidate dalla musica che non smette di prenderli in giro, di giocare con loro e con la trama, contrappuntando ogni moto di sorpresa e di delusione, e ancora lo vedo sorridere, a fine serata, esausto per tanta creazione, ma sazio di aver trovato la strada giusta che legherà in un unico intreccio tutta la partitura.
Si merita davvero un altro sigaro, perché sa che sta creando un’opera buffa di altissimo lignaggio, e vuole che questo suo interiore divertimento si propaghi agli spettatori, ai musicisti dell’orchestra, ai cantanti, ai macchinisti, tutti ascoltando l’opera devono sbellicarsi e gioire.
È quello che vorrei accadesse agli spettatori di questa mia regia. Unico stacco nell’opera, oltrechè la furbizia di Schicchi che da un certo punto in poi guida e trascina l’intera compagine dei parenti, è il quadro d’amore tra Rinuccio e Lauretta, unico momento in cui la forza vitale dell’amore sembra prevalere sulle bassezze di eredità e soldi, come una specie di possibile promessa di una vita diversa, anche se poi, come in tutte le fiabe, non si sa se vissero davvero felici e contenti.
Marco Baliani