Mettere in scena le tavole di Sto, questa è la sfida dello spettacolo, inventare un gioco scenico e attoriale in cui lo spazio di colpo diventi bidimensionale, cartaceo, come se i corpi degli attori si imprimessero su un foglio. L’illusione della profondità la danno alberi e case lontane, vie di fuga di palazzine, prospettive ardite, viste panoramiche. Gli elementi scenografici ideati da Riccardo Sivelli giocano a spiazzare la percezione, segnalano profondità attraverso l’ironia, diventano costruzioni giocose spostate a vista, ricombinate fino a mostrate a loro cartonistica esistenza, illusioni che si apparentano alle posture disegnate dai corpi degli attori.

Attori tra loro in misteriosa sintonia che, come in un helllzapoppin di continui traslochi scenici, escono ed entrano dall’inquadratura delle tavole, trafficano, spostano, si arrabattano, sudano, a loro volta pasticciano, non azzeccando mai la soluzione giusta, anche loro contagiati dalla catastrofe bonaventuriana.

Nella confusione, nell’andirivieni di corpi e cose, gli attori di colpo “sono” la tavola, diventano sequenza, aderiscono perfettamente alla pelle dei personaggi.

I costumi di Daniela Cernigliaro sono elementi scenici capaci di vita propria, stanno lì in attesa dei corpi che li indosseranno, sono fragili origami come la carta su cui Sto disegnava le sue tavole.

Poi, a racchiudere il mondo di Bonaventura, c’è la cosa più preziosa e segreta, il ritmo, che è una musica nascosta nelle tavole e che imprine all’azione la sua andatura. È un ritmo di parole in rima che, a seconda del tempo in cui vengono pronunciate, possono creare partiture di crescendi o pianissimi, di allegretti e andanti con brio. La musica creata da Mirto Baliani si misura proprio con questo segreto tempo interno di ogni tavola, quel tempo che è da sempre la cosa più preziosa che il teatro e l’arte attorale possiedono, un tempo musicale tutto legato alla biologica esistenza del vivente corpo dell’attore.

Nella costruzione drammaturgica di Maria Maglietta il linguaggio di Sto-Bonaventura viene valorizzato nel suo gioco di assonanze, che scivola inavvertito, complice la rima, nell’assurdità del metafisico, nel grottesco del varietà, nella fantasmagoria de vaudeville.

Fuori dalle tavole, nel fuoriscena della preparazione gli attori parleranno sempre tra loro in rima.

Scopriremo così il gioco antico del poetar rimando, nel solco dell’improvvisazione poetica popolare, fonte di arguzie e invenzioni. Un altro modo di riscoprire le potenzialità di una lingua anch’essa oggi economicizzata e piegata alle solitarie regole di un mondo di sole merci.

Marco Baliani