L’idea del libro si è imposta di prepotenza davanti a una pila di piatti sporchi, all’insopportabile tedio quotidiano dei lavori domestici. È questo il momento dell’avvilimento, in cui le casalinghe per uscirne si attaccano alla bottiglia. Ho pianto per un po’ con i gomiti sul tavolo e la testa tra le mani, poi su un quaderno delle mie bambine, nel silenzio della casa addormentata, ho cominciato a scrivere. All’alba scrivevo ancora, sollecitata da un’urgenza disperata. Avevo intravisto una strada per evadere, una strada che mi avrebbe riportato al passato, intorno al fuoco di un bivacco dove non c’erano grembiuli impadellati né pile di piatti sporchi ma solo il cielo stellato e l’ebbrezza di essere ancora vivi.

Era un debito di immagine che volevo pagare a quella piccola maltrattata bastarda che ero stata, era un debito non pagato a quei miei diciotto anni traboccanti di sogni e ideali profondi che, in cambio di un uomo nel mio letto, avevo relegato tra gli abiti smessi. Notte dopo notte teneramente sfogliavo un passato che credevo perduto, dimenticato. Vivevo in uno stato di trance, di levitazione permanente, in una mano la matita nell’altra il mestolo. Zuccheravo l’acqua per la pasta e salavo il caffè. Mi addormentavo sui compiti delle mie bambine ben felici di essere lasciate allo stato brado. Con la testa da tutt’altra parte lasciavo mano libera al ferro da stiro sulle camicie di mio marito che, stanco di portare roba strinata, decise di affidarla alla lavanderia. Ma come potevo stirarla se ero in brigata?

Un bisogno ossessivo mi sollecitava a fare presto, stavo scrivendo una specie di testamento. Dovevo operarmi e non sapevo come sarebbe finita e non volevo che morisse con me la cosa più bella mia vita, la ragazza che ero stata. Non potevo abbandonare ancora una volta la piccola bastardina selvaggia della mia infanzia. Sarebbe bastato che nel tempo il mio libro fosse letto per farle rivivere. Poi la mano di una giovane donna ha tratto dalla polvere del tempo quelle immagini e ha dato loro vita, le ha amate fino al punto di prestar loro voce corpo e passione ricevendo in dono tutto il mondo di sogni in cui avevo creduto. La meraviglia di un mondo perduto goduto solo da chi aveva scelto la strada dei monti, da chi aveva scelto la lotta clandestina. Una strada che si chiamava libertà.

Gina Negrini