Gioventù senza Dio

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dal romanzo di Ödön von Horváth

 

drammaturgia Marco Baliani e Renata Molinari

musiche Filippo Del Corno

costumi Maria Maglietta

luci Marco D’Andrea

regia e scene Marco Baliani

assistente alla regia Maria Antonia Pingitore

produzione CRT, Centro di Ricerca per il Teatro, Milano

 

 

In scena:

Bruno Stori – professore

Coco Leonardi – sergente, Giulio Cesare, giudice, preside

Giancarlo Previati – parroco, padre di N, avvocato

Rita Falcone – le madri

Lucia Chiarla – Eva

Nicola Sisti Ajmone – R

Mirto Baliani – B

Valerio Baroni – N

Federico Bertozzi – T

Gianluca Frigerio – G

Carlo Ottolini –  Z

 

Debutto il 27 febbraio 1997/CRT Salone Milano

 


 

ALLA RICERCA DI UNA SCENA ESPRESSIONISTA

È la storia si un rapporto tra un professore e la sua classe, negli anni in cui per strada si sentono cantare i giovani hitleriani e la radio, i giornali, le disposizioni ministeriali si adeguano a un clima si insoddisfazione generale in cera di capri espiatori: un magma di informazioni sapientemente manovrato va preparando le giovani coscienze a divenire “carne da cannone”. C’è un’aspirazione terribile da parte dei giovani studenti di questa classe (che sembra contenere uno spaccato delle classi sociali del paese, le loro lotte e le loro frustrazioni) a divenire ingranaggio, bielle di una macchina, a farsi duri di cuore.

È la storia di un’impossibilità di trasmissione di esperienze, di un vuoto generazionale in cui sembrano tutti essere divenuti come tanti pesci, pronti a guardare la realtà senza più parteciparvi. In questo vuoto che attrae come falene le giovinezze estreme, luogo di assenza di valori e quindi riempibile di ogni tensione, gli spiriti liberi si defilano, rinunciano, oppure si adeguano, accettano, quando non si fanno anche loro affascinare. I più azzittiscono, nascondendosi dietro un sorriso mentre il mondo intorno precipita: modi diversi di uccidere il pensiero e addormentare le coscienze. In quegli anni si fabbricano i prototipi di un tipo d’uomo che si valorizza nella perdita di umanità, che si nutre di un’indifferenza ai valori naturali dell’essere umano, e proprio per ciò sacri, come la vita, l’amore e la morte. Si impara in quegli anni a guardare senza intervenire, a osservare i delitti, a eseguirli, come alienante meccanismo da catena di montaggio, e si impara a restare vuoti di fronte all’orrore.

Non siamo affatto ancora usciti da quegli insegnamenti e per questo, senza pedagogismi e moralismi, credo che lo spettacolo abbia una sua urgenza e necessità di essere realizzato. È la storia di un conflitto, interno alla figura del professore, tra la necessità della mediazione, la vigliaccheria della rinuncia e la forza dirompente della verità. È anche la storia della presenza-assenza del divino nel mondo e di un’etica conseguente. La figura del professore è l’unico personaggio del dramma, l’unico di cui seguiamo le evoluzioni, dallo stato di sonno procurato alla coscienza fino al risveglio che passa intercettando una forma del divino, costringendosi a ritrovare la capacità di pensare e discernere. Intorno c’è un coro (in questa direzione lavorerò con tutti gli attori, mentre con Bruno Stori nel ruolo del professore condurrò un lavoro di altro tipo, esplorerò con lui le pieghe della memoria, le interiorità, cercando al contempo un’interpretazione non vincolata naturalisticamente).

Il coro è la forma sociale che sta intorno al dramma del professore, che lo alimenta e lo motiva, uno sfondo necessario che ogni tanto lascia emergere delle individualità, accennando psicologie e caratteri che subito vengono ringlobati nella massa. I canti preparati da Filippo Del Corno, con testi tratti da raccolte di canti e filastrocche popolari, creeranno una dimensione straniata, e di volta in volta segneranno la tensione e le energie della scena, come dei misuratori di tensione sociale.

La drammaturgia, in collaborazione con Renata Molinari, tende a smontare il testo-racconto e a rimontarlo in forma drammatica, senza nulla perdere della parole di Horváth e senza altre interpolazioni, cercando in quelle parole di disegnare una mappa di eventi non necessariamente lineari. Le tante storie di cui si compone la vicenda vorrei si incanalassero verso una forma tragica, come se applicandosi con accanimento al realismo e agli essere umani non potesse che scaturirne una forma tragica. Gli aspetti storici ed esteriori sembrano ricalcare paurosamente a distanza di anni un tessuto sociale assai simile al nostro quotidiano: siamo sempre dentro alla cultura dell’inflazione, con masse medio e piccolo borghesi pronte a sposare le tesi più reazionarie e a autoritarie pur di mantenere la loro piccola fetta di privilegi economici. Ma non sarà questo lo scopo dello spettacolo: la storia grande sarà lo sfondo dentro cui far muovere le figure del dramma che illumineranno potentemente lo stesso scenario storico che sta alle loro spalle. Per questo il coro è uno strumento eccezionale di riverbero del mondo che circonda i personaggi.

Vorrei lavorare su forme estreme, di tipo espressionista, alla Kirchner, come se i corpi degli attori fossero incisi in litografie violente. La scena sarà cruda ed essenziale, pochi oggetti legnosi e anneriti su cui graffiare immagini, incidere figure, incuneare rami di un bosco. Le luci taglieranno i corpi, con nette strisce e bande, e tra i bianchi e neri non ci sarà molto spazio per le coscienze dei personaggi.

Marco Baliani

 


DAL ROMANZO ALLA SCENA_ NOTE DI RENATA MOLINARI

NOTE DI MARIA MAGLIETTA

NOTE DI FILIPPO DEL CORNO

 

 

 

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