Arte Regia – Marco Baliani https://www.marcobaliani.it Fri, 26 Jan 2024 04:53:31 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.4 ARLECCHINO? https://www.marcobaliani.it/arlecchino/ https://www.marcobaliani.it/arlecchino/#respond Thu, 11 Jan 2024 10:27:49 +0000 https://www.marcobaliani.it/quel-giorno-2/

testo e regia Marco Baliani

con Andrea Pennacchi 

e con Marco ArtusiFederica GirardelloMiguel Gobbo Diaz, Margherita Mannino, Valerio MazzucatoAnna Tringali 

musiche eseguite dal vivo da Giorgio GobboRiccardo Nicolin

scene e costumi Carlo Sala

luci Luca Barbati

aiuto regia Maria Celeste Carobene

produzione Gli ipocriti Melina Balsamo in coproduzione con Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale 

 

PERSONAGGI 

Arlecchino – Andrea Pennacchi 

Beatrice / Federigo Rasponi – Federica Girardello 

Brighella / Florindo – Marco Artusi 

Clarice – Margherita Mannino 

Pantalone – Valerio Mazzucato 

Silvio / Facchino / Cameriere – Miguel Gobbo Diaz

Smeraldina – Anna Tringali 

  

In ogni epoca bisogna lottare per strappare la tradizione al conformismo che cerca di sopraffarla

Walter Benjamin 

 
 

L’Arlecchino che Andrea Pennacchi porta in scena farà forse sussultare i tanti Arlecchini che nel tempo hanno fatto grande questa maschera della commedia dell’arte.
Lui cerca in tutti i modi di essere all’altezza del ruolo, ma non ne azzecca una, é goffo, sovrappeso, del tutto improbabile, ma è in buona compagnia: gli altri attori, che, come lui, sono stati assoldati, con misere paghe dall’imprenditore Pantalone, sono, al pari di Arlecchino, debordanti, fuori orario, catastroficamente inadeguati.
Eppure tutti questi sbandamenti, queste uscite di scena e fughe dal copione, che sono anche uscite nella contemporaneità dell’oggi, queste assurde prestazioni, queste cadute di stile e cadute al suolo di corpi sciamannati, tutte queste parole affastellate, tutto questo turbinio di azioni e gesti, stanno proprio rifacendo il miracolo della grande commedia goldoniana, in una forma non prevista, una commedia dirompente, straniante, che ricostruisce la tradizione dopo averla intelligentemente tradita.
Ed ecco allora che la storia, nonostante tutto, anzi proprio grazie a questo tutto invadente, si dipana nella sua narrazione e ne esce un Arlecchino mai visto che riunisce stilemi diversi, frammenti di cabaret, burlesque, avanspettacolo, commedia, dramma, un gran calderone ultrapostmoderno che inanella via via pezzi di memoria della storia del teatro.
Per riuscire a creare un simile guazzabuglio di intenzioni, per riuscire a renderlo eccezionalmente vivo, occorrevano attori capaci di seguirmi in un simile delirio.
Ed eccoli qui, una compagnia di compagni e complici, Marco Artusi, Federica Girardello, Miguel Gobbo Diaz, Margherita Mannino, Valerio Mazzucato e Anna Tringali, capaci di interpretare contemporaneamente più ruoli, di passare dalle proteste borbottanti degli attori sottopagati alle vorticose azioni dei personaggi della commedia che pur devono rappresentare.
In questo incessante salto mortale di identità è il loro talento a tenere insieme ciò che di continuo sembra sfuggire alla presa.
Appartengono di diritto alla grande tradizione del teatro veneto, grande perché sempre capace di rischiare per rinnovarsi, come accade su queste tavole sceniche imbandite di follia arlecchinesca.
Durante le prove immaginavo di avere Carlo Goldoni seduto in terza fila,
e dovevo dirgli di fare silenzio tanto si sganasciava dalle risate, con gli occhi stupiti di bambino mai cresciuto di fronte a questa sua opera divenuta così inverosimile da essere ancor più sua.
E quando poi le musiche di Giorgio Gobbo accompagnate dalla batteria di Riccardo Nicolin si infilavano come blitz sorprendenti costringendo gli attori a divenire anche danzanti e cantanti, il Goldoni là dietro non si teneva più.
Infine che dire delle scene fluttuanti di Carlo Sala, una scenografia semovente, mobile, semplice come lo è la creatività quando si dimentica di dover fare bella figura e si lascia andare al gioco infantile, grazie agli stessi attori che si fanno operai macchinisti modificando la scena di continuo come avvenissero improvvise folate di vento, a volte in forma di bufera a volte come zefiro primaverile.
Il testo febbrilmente rimaneggiato ogni giorno, a partire dalle intuizioni che sorgevano in me, vedendo all’opera la creatività degli attori, e trascritto con solerzia da Maria Celeste Carobene, è proprio quello che fin dall’inizio avevo immaginato. Le parole che vengono fatte volare sono anch’esse leggere, eppure, come accade davvero nella vera commedia, arrivano stilettate e spifferi lancinanti che parlano dei nostri giornalieri disastri di paese e di popolo, così che i terremoti scenici ci ricordano il traballare quotidiano delle nostre esistenze.

                                                                    

 

 

 

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VISTA DA QUI https://www.marcobaliani.it/vista-da-qui/ https://www.marcobaliani.it/vista-da-qui/#respond Wed, 30 Mar 2022 10:12:42 +0000 https://www.marcobaliani.it/quinta-stagione-2/  

testo e regia Marco Baliani

con Giulia Goro, Alessandro Marmorini, Luigi Pusceddu, Marco Rizzo

scene e luci Lucio Diana

costumi Stefania Cempini

assistente alla regia Daniele Vagnozzi

assistente alle scene Eleonora Diana

produzione MARCHE TEATRO

 

In prima nazionale al Teatro Sperimentale di Ancona il 29 e 30 aprile 2022 

È uno spettacolo distopico, il cui contenuto si svolge in un tempo e in uno spazio molto lontani dal nostro presente, ma così lontani che sinistramente sono già presagibili nella vita di tutti questi nostri giorni.

I quattro personaggi dello spettacolo devono fare i conti con una responsabilità enorme: come immaginare, progettare e creare una futura nuova umanità.

Sarà uno spettacolo composto di scenari, cioè situazioni in sé chiuse e autosufficienti che non necessariamente hanno un prima e un poi, ma questi scenari, in questo momento in cui scrivo, ancora non li conosco, li posso solo intuire.

Attendo di farli diventare vivide realtà di corpi e voci e movimenti e parole, solo quando comincerò a creare la scena con la complicità dei quattro attori. Non solo, lancerò un appello ai futuri spettatori perché, se vogliono, possano contribuire alla creazione preliminare della scena, con suggestioni scritte, suggerimenti di situazioni, immagini, racconti, dialoghi, monologhi, azioni. Se risponderanno alla chiamata l’insieme delle loro proposte fornirà la base non solo per avanzare nella creazione, ma anche per una pubblicazione da affiancare allo spettacolo futuro.

Penso che la scena sarà quasi totalmente vuota. D’altra parte non c’è immaginazione, neppure cinematograficamente piena di effetti speciali, che possa davvero pensare un simile futuro, per cui il vuoto è la condizione migliore per figurarsi l’impossibile. Marco Baliani


PRESENTAZIONI

Leggi l’intervista a cura di Michele Sciancalepore su Avvenire: https://bit.ly/3KlQLV9

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QUINTA STAGIONE https://www.marcobaliani.it/quinta-stagione/ https://www.marcobaliani.it/quinta-stagione/#respond Mon, 26 Oct 2020 06:29:21 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=3224  

di Franco Marcoaldi

regia Marco Baliani

con Marco Baliani

e la voce dialogante di Franco Marcoaldi

scene Mimmo Paladino

paesaggio sonoro Mirto Baliani

disegno luci Cesare Accetta

produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale

 

In prima nazionale al Teatro Grande di Pompei il 15/16/17 luglio 2021

 

 

Non è certo un caso che il sottotitolo di questa mia Quinta stagione, sia ‘monologo drammatico’, esplicita ripresa di un lemma proprio della grande poesia anglosassone otto-novecentesca. L’aspetto teatrale del poemetto è evidente sin dalle prime battute e Marco Baliani lo ha colto alla perfezione, lavorando sul ‘doppio’ della mia voce registrata, in costante dialogo con la sua voce e il suo corpo in scena.
Grazie al paesaggio scenico di Mimmo Paladino e a quello sonoro di Mirto Baliani prende progressivamente forma, così, quel tempo nuovo, difficile e sconcertante, che si va imponendo in modo irreversibile: una nuova stagione, appunto, in cui, al di là delle maschere della vita sociale e delle narrazioni private ad uso consolatorio, siamo chiamati a fare i conti con noi stessi. Con la nostra intima verità. Umile, prosaica, contradditoria. Aperta alle questioni finali. Così da ritrovare la nostra propria appartenenza al flusso collettivo e universale.
Questo l’intento ultimo di un testo poetico destinato naturalmente al teatro: delineare, dietro il tono apparente di conversazione, qualcosa di molto simile a una Apocalisse. Raccontare la fine irreversibile di un tempo ormai per sempre consumato, anticipando in controluce, un possibile, nuovo inizio.
Franco Marcoaldi


 

Portare la poesia in teatro è, da sempre, impresa ardua. È come se il linguaggio poetico, sopra un palco, non si trovasse così libero di volare e di espandersi. Quelle parole vorrebbero una voce a farle veleggiare, restie come sono per natura a essere messe in fila dentro un discorso lineare, dentro un dialogo, dentro una narrazione.
In un poema c’è solo la voce del poeta, che l’ha abitata e continua a starci incastrato, connesso inestricabilmente a quelle parole. Lì lui vive e parla.
C’è quella leggenda cinese in cui l’amata, tornando nella casa del suo poeta, non lo trova, eppure si erano dati appuntamento come tante altre volte, lo cerca, sempre più disperatamente, non c’è traccia di lui nelle modeste stanze dove tante volte si sono amati. Angosciata, quasi in lacrime, trova sul tavolo, scritta a mano una poesia del suo amato, deve essere l’ultima, lui non gliel’aveva mai letta, ma mentre la legge, le lacrime sgorgano copiose, comprende che il poeta è interamente, anima e corpo, in quella poesia, è entrato nel poema che sarà per sempre la sua dimora.
Franco Marcoaldi ha chiamato la sua opera “monologo drammatico”, due termini che appartengono di diritto alla storia del teatro. Dunque la visione del poema è legata alla scena, o potrebbe esserlo.
È quel “potrebbe” lo spazio di esplorazione che ho investigato mettendo la mia voce e il mio corpo sulla scena del poema, cercando di essere un tramite appassionato di quelle parole, dialogando, a tratti, con la voce dello stesso poeta, che mi affianca. Camminiamo insieme, un’unica entità nomade, attraversiamo i dodici canti di cui l’opera è composta, con la complicità di pellegrini in cerca di nuove strade.
Viandanti entrambi nel paesaggio visivo creato dalla sapienza e dall’arte di Mimmo Paladino, ci muoviamo tra reperti lasciati dal tempo a galleggiare su una distesa salina, come dopo un naufragio, o come prima di una redenzione.
Ma c’è un altro paesaggio non meno materico e fondante, la dimensione sonora e musicale approntata da Mirto Baliani, che dedica ad ogni canto una peculiare atmosfera, che a volte avvolge, a volte sfugge, il denso dispiegarsi della poesia.
Le luci di Cesare Accetta scolpiscono un altro spazio ancora, drammaturgia luminosa che si aggiunge, interseca, spezza, corrobora la deambulante strada del mio doppio poeta.
Sono dunque in buona compagnia, non mi resta che accingermi alla partenza.
Marco Baliani

 

BIGLIETTI
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MANDRAGOLA https://www.marcobaliani.it/mandragola/ https://www.marcobaliani.it/mandragola/#respond Thu, 22 Mar 2018 21:24:42 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=2339 I NUOVI – GIOVANE TEATRO DELLA TOSCANA

 

di Niccolò Machiavelli
con Maddalena Amorini, Francesco Argirò, Beatrice Ceccherini, Davide Diamanti, Francesco Grossi, Filippo Lai, Athos Leonardi, Claudia L. Marino, Laura Pinato, Nadia Saragoni, Sebastiano Spada, Filippo Stefani, Erica Trinchera, Lorenzo Volpe
scene e costumi Carlo Sala
assistente scene e costumi Roberta Monopoli
assistente regia Lorenzo Terenzi
direttore di scena Emiliano Gisolfi
light designer Loris Giancola
sarta Eleonora Sgherri
realizzazione scene Laboratorio di Costumi e Scene del Teatro della Pergola
realizzazione costumi Sartoria Mauro Torchio
regia Marco Baliani
produzione Fondazione Teatro della Toscana


 

I Nuovi, la compagnia dei giovani diplomati della Scuola per Attori ‘Orazio Costa’ della Fondazione Teatro della Toscana, fanno rivivere La mandragola di Niccolò Machiavelli per la regia di Marco Baliani. La beffa erotica dal sapore boccaccesco, tanto lieve quanto complessa, è il capolavoro teatrale del ’500.

Nonostante la materia leggera, La mandragola non smentisce il Machiavelli de II Principe: nello smascherare l’ipocrisia di autorità intoccabili come la Chiesa o la famiglia nella Firenze rinascimentale; nel dimostrare che nella conquista di qualcosa di importante, non importa se di una donna o di un principato, le regole del gioco sono sempre le stesse.

Machiavelli intende analizzare e mostrare la verità effettuale dei mezzi con cui l’uomo arriva a raggiungere i suoi fini, spostando però la prospettiva dallo scenario vasto della politica a quello della vita privata e utilizzando il linguaggio della comicità. Si tratta, tuttavia, di una comicità amara e spietata poiché, se lo scopo dell’agire politico ha una ‘intenzione alta’, i personaggi de La mandragola mettono in campo tutte le loro migliori energie, le loro virtù, per uno scopo greve e volgare: il soddisfacimento dell’amore sensuale e l’interesse economico.

 


NOTE DI REGIA
Uno spettacolo in continuo fibrillante movimento, come se il turbine delle passioni che governano gli animi dei personaggi si esplicitasse in una frenesia di corpi danzanti. Ogni personaggio ha un suo doppio-ombra che invisibile lo trascina, lo muove, gli sussurra le parole da dire, lo confonde e lo turba, un regista occulto che muove il corpo del personaggio come una marionetta. Il linguaggio di Machiavelli sarà in parte tradito, come sempre accade quando l’arte commette l’arbitrio di una traduzione, le parole dovranno avere la stessa forza di quelle originali, ma dovranno parlare alle nostre orecchie disincantate, dovranno essere materiche e quindi mai filologicamente rispettose.

Marco Baliani

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SETTE CONTRO TEBE https://www.marcobaliani.it/sette-contro-tebe/ https://www.marcobaliani.it/sette-contro-tebe/#respond Wed, 12 Apr 2017 08:06:59 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=1794

 

 

Traduzione Giorgio Ieranò

Regia e adattamento testo Marco Baliani

Assistente alla regia Raffaele Di Florio

Scene e costumi Carlo Sala

Assistente scenografo Roberta Monopoli

Musiche Mirto Baliani

Coreografie  Alessandra Fazzino

 

PERSONAGGI E INTERPRETI

Aedo Gianni Salvo

Eteocle Marco Foschi

Messaggero Aldo Ottobrino

Araldo Aldo Ottobrino

Antigone Anna Della Rosa

Danzatori Massimo Frascà, Liber Dorizzi

Coro Accademia d’arte del dramma antico

 

Tebe è una città assediata, in preda al panico.
Una città contesa tra eserciti fratelli.

È la paura la protagonista dell’intera opera, una paura fomentata dai suoni, dal clamore e dagli echi dell’esercito nemico che circonda la città.

È una città svuotata, abitata più da donne che da uomini, come tutte le città contemporanee dove la guerra e l’assedio sono stillicidio quotidiano. Tebe è come Sarajevo ieri, come Aleppo oggi. Le donne sanno che a loro toccherà essere stuprate e ridotte schiave, non possono far altro che pregare lontane divinità per avere un conforto al terrore che le invade

Tutti i personaggi dell’opera sono vittime di uno stallo dell’animo, una sospensione di azione in attesa del massacro o della estrema lotta che porterà comunque rovina.

Quando il Messaggero descrive la terribilità degli scudi dei sette guerrieri nemici che si apprestano ad assaltare le sette porte della città, proietta su quegli scudi la paura dell’intera città, lo scudo nemico diviene il luogo fisico e circoscritto del panico che ha invaso gli animi.

Eteocle deve faticosamente trovare altre parole che rendano inefficaci le apocalittiche visioni del Messaggero, riducendo i sette guerrieri nemici a umanissimi corpi contro cui scagliare altri corpi guerrieri, i sette eroi tebani che li affronteranno, compreso lui stesso che si scontrerà alla settima porta col fratello Polinice.

La maledizione che pesa sulla città, quella lanciata ai figli- fratelli dal padre -fratello Edipo è pura metafora, serve al mito, non alla realtà, serve a dare un nome all’indicibile.

Eteocle è un eroe fragile, L’efficacia delle sue parole si misura solo sul plauso del popolo, prima ancora che sulla scena della battaglia.

Fin dall’inizio si scontra con la donne impaurite, scaricando su loro l’ansia dello scontro imminente.

Antigone è figura anch’essa fragile, attonita di fronte alla catastrofe, guidata unicamente dall’istinto. A lei, fin dall’inizio metterò in bocca parole che spetterebbero al coro, perché la guerra fratricida avviene da subito anche all’interno della città, è una guerra tra fratelli malnati.

La scissione finale tra chi vorrebbe seppellire Polinice e chi no è quello che sempre accade dopo una vittoria, quando comincia la spartizione cruenta tra i vincitori alleati, quello che è accaduto alla Libia dopo Gheddafi, quel che accadrà a Mosul tra breve, quel che accadde a Berlino nel secolo scorso.

Il coro delle donne e degli uomini non è un coro, non si muove compatto, non parla all’unisono, è fatto di individui, ognuno con la sua particolare forma di tremore e di reazione.

L’adattamento del testo, a partire dalla bella traduzione di Giorgio Ieranò, inventa un linguaggio di concretezza assoluta, niente incisi, niente declamazioni, niente voli coloristici, tutto è presente, composto di terra, di materia, le parole lottano col poco tempo che resta a disposizione.

Sarà uno spettacolo in corsa, di azioni continue, di movimenti corali ideati da Alessandra Fazzino, che non devono però mai apparire come pure coreografie. Gli scudi saranno composti coralmente da corpi metamorfici, in folgoranti quadri iconici.

Il suono e la musica di Mirto Baliani saranno determinanti, saranno loro a muovere i corpi, li assedieranno, li condurranno recalcitranti alla conclusione tragica del finale.

Sulla scena pensata da Carlo Sala ci sarà un grande albero totem che è il luogo di un culto contadino e pastorale, niente altro, tranne alcune pietre-cippi che segnano il perimetro circolare della città.

Nel finale l’antica agorà diverrà una terra bombardata, fatta di crateri, mentre i corpi dei superstiti diverranno quotidiane immagini di profughi in fuga.

Marco Baliani

 

 

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HUMAN https://www.marcobaliani.it/human-3/ https://www.marcobaliani.it/human-3/#respond Tue, 05 Jul 2016 10:39:33 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=574 Human_LOCAlow2

di e con Marco Baliani e Lella Costa

e con David Marzi, Noemi Medas, Elisa Pistis, Luigi Pusceddu

collaborazione alla drammaturgia di Ilenia Carrone

musiche originali di Paolo Fresu con Gianluca Petrella

scene e costumi di Antonio Marras

scenografo associato Marco Velli

costumista associato Gianluca Sbicca

disegno luci di Loïc Francois Hamelin e Tommaso Contu

assistenti alla produzone Agnese Fois e Leonardo Tomasi

regia di Marco Baliani 

Abbiamo un titolo: la parola HUMAN sbarrata da una linea nera che l’attraversa, come a significare la presenza dell’umano e al tempo stesso la sua possibile negazione.

Umano è il corpo nella sua integrità fisica e psichica, nella sua individualità. Quando questa integrità viene soppressa o annullata con la violenza si precipita nel disumano.

Umani sono i sentimenti, le emozioni, le idee, le relazioni, i diritti. Li abbiamo sognati eterni e universali: dobbiamo prendere atto – con dolore, con smarrimento – che non sempre lo sono.

La storia del nostro Novecento e ancora le vicende di questo primi anni Duemila ci dicono che le intolleranze e le persecuzioni, individuali o di massa, nei confronti degli inermi e degli innocenti, continuano a perpetrarsi senza sosta.

Con la nostra ricerca teatrale vorremmo insinuarci in quella soglia in cui l’essere umano perde la sua connotazione universale, utilizzare le forme teatrali per indagare quanto sta accadendo in questi ultimi anni, sotto i nostri occhi, nella nostra Europa, intesa non solo come entità geografica, ma come sistema “occidentale” di valori e di idee: i muri che si alzano, i fondamentalismi che avanzano, gli attentati che sconvolgono le città, i profughi che cercano rifugio.

Ma se ci fermassimo qui sarebbe un altro esempio di cosiddetto teatro civile, e questo non ci basta: non vogliamo che lo spettatore se ne vada solo più consapevole e virtuosamente indignato o commosso. Vogliamo spiazzarlo, inquietarlo, turbarlo, assediarlo di domande. E insieme incantarlo e divertirlo.

E per riuscirci andremo a indagare teatralmente proprio quel segno di annullamento, quella linea che sancisce e recide: esplorare ed espugnare la soglia fatidica che separa l’umano dal disumano, confrontarci con le parole, svelare contraddizioni, luoghi comuni, impasse, scoperchiare conflitti, ipocrisie, paure indicibili.

Vorremo costruire un teatro spietatamente capace di andare a mettere il dito nella piaga, dove non si dovrebbe, dove sarebbe meglio lasciar correre, e andare a toccare i nervi scoperti della nostra cultura riguardo alla dicotomia umano/disumano.

Senza rinunciare all’ironia, e perfino all’umorismo: perché forse solo il teatro sa toccare nodi conflittuali terribili con la leggerezza del sorriso, la visionarietà delle immagini, l’irriducibilità della poesia.

Marco Baliani Lella Costa


Appunti di regia

L’incontro con l’Altro ha a che fare con lo sguardo, è soltanto guardando l’altrui esistenza che misuro la mia. La qualità di questo sguardo non è sempre identica e, a seconda di come si guarda, con che intensità, profondità, indifferenza, empatia, rifiuto, si possono generare dialoghi e confronti oppure scontri e conflitti.

Lo spettacolo Human è costruito sul tema dello sguardo verso l’Altro.

Quando, con Lella Costa, abbiamo cominciato a pensare a uno spettacolo che parlasse di questo incontro con la Diversità, con le tante anime racchiuse dentro la definizione di Profugo, da subito ci siamo detti che occorreva evitare ogni retorica e ogni enfasi, e che l’impresa non era affatto semplice.

Bisognava mettere al centro il nostro stesso sguardo, non avere paura di essere sprovvisti di solide risposte, dovevamo provare a declinare, di quell’incontro con l’Altro, ciò che più metteva in crisi le nostre sicurezze, le nostre sedimentate convenzioni, fino a rivelare la nostra fragilità e il nostro smarrimento.

Non è uno spettacolo che denuncia, fa indignare, informa, spiega, prende posizione, lancia messaggi o appelli. No, è piuttosto un teatro che inquieta, che pone domande e non conosce risposte, che lascia disorientati.

Non è composto da una trama o da uno sviluppo drammatico circoscritto. Al contrario, è multiforme, costruito da tanti quadri a sé stanti che aprono e chiudono una situazione, senza rimandi a quella successiva se non per analogie, o per trascinamento, per esempio attraverso un dattero lanciato dal ponte di una nave di crociera e raccolto da una donna in fuga.

Lo spettacolo è declinato dalla presenza di un’umanità profuga e dall’ineludibile confronto che questa presenza genera in questa parte di mondo che chiamiamo Occidente. Ma di volta in volta questo confronto genera risposte diversificate, che necessitano di diversi linguaggi, di differenti registri linguistici, di inaspettati punti di vista fuori dal coro.

Ci sono dialoghi a più voci, a volte serrati, a volte distesi, ci sono monologhi e ci sono narrazioni, c’è un canto epico, ci sono immagini di corpi impauriti, c’è un frammento di operetta buffa, ci sono inserti di acido cabaret, c’è una poesia, un canto, una musica.

È uno spettacolo che ci interroga su quella parola troppo abusata, Umanità, e interroga prima di tutto il gruppo degli attori e attrici, il nostro stare in scena dentro quella parola, con una adesione materica, corporea, al susseguirsi dei cambi di personaggi e situazioni.

E materici sono anche la scena e i costumi ideati da Antonio Marras, un agglomerarsi di vestimenti dismessi, sperduti, come dilavati dalla salsedine di un mare sempre presente, ma anche dilavati dal tempo, consumati da un vivere in corsa, da un esistere in perenne fuga.

Le luci di Loïc François Hamelin sono un altro tassello della drammaturgia, un altro composto linguistico che svela e apre una babele di spazi uno all’altro compenetrati, moltiplicantesi, pur nella ridotta realtà di un palco teatrale.

Le musiche composte da Paolo Fresu tracciano un filo rosso per l’intero spettacolo, guidano la successione delle scene, tessono gli interstizi dell’intero arazzo, aprono a improvvise visioni. Gianluca Petrella a volte lo asseconda col suo trombone, a volte crea una partitura sonora, anch’essa fortemente materica, di voci, acqua, colpi, echi di vita vissuta.

C’è infine un’altra possibilità di incontrare l’Altro, erigere muri, quello che sta accadendo in questa Europa impaurita. In questo caso lo sguardo si richiude in sé stesso, si fa buio.

Ma in teatro questo non può mai avvenire. È la sua fortuna e il suo destino, essere sempre di fronte, faccia a faccia. Rischiare sempre lo sguardo altrui. Il buio in teatro è solo un modo per riposare gli sguardi e attendere, se meritato, l’applauso.

Marco Baliani


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DECAMERONE https://www.marcobaliani.it/decamerone-vizi-virtu-passioni/ https://www.marcobaliani.it/decamerone-vizi-virtu-passioni/#respond Sun, 03 Jul 2016 16:35:12 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=202 decamerone_locandina copia

VIZI VIRTÙ PASSIONI

liberamente tratto dal Decamerone di Giovanni Boccaccio

 

con Stefano Accorsi, Silvia Ajelli, Salvatore Arena,
Silvia Briozzo, Fonte Fantasia, Mariano Nieddu
adattamento teatrale e regia Marco Baliani
drammaturgia Maria Maglietta
scene e costumi Carlo Sala
disegno luci Luca Barbati
assistente scene e costumi Roberta Monopoli
aiuto alla regia Maria Maglietta
datore luci Michele Vittoriano
macchinista Stefano Pommella
sarta di scena Giulia Belardi
organizzazione Marco Balsamo
responsabile produzione Walter Tassone
amministratore di compagnia Giulia Carlaccini
addetto stampa Saverio Ferragina
produzione Nuovo Teatro

 

LA COMPAGNIA

Stefano Accorsi/Panfilo – Mastro di Brigata
Silvia Ajelli/Fiammetta – L’innamorata
Salvatore Arena/Filostrato – Il fedele
Silvia Briozzo/Elissa – La generosa
Fonte Fantasia/Pampinea – La giovine
Mariano Nieddu/Dioneo – Lo scaltro
(ciascuno di loro interpreterà più ruoli)

Sulla scena è parcheggiato un carro-furgone, “casa” e teatro viaggiante della compagnia che si appresta a mettere in scena l’opera. La modularità del carro, favorirà la messa in scena di sette novelle del Decamerone, permettendo di volta in volta la creazione degli spazi e delle suggestioni necessarie alle storie che si vanno a narrare.

Una grande passione anima la compagnia, ma non altrettanto grandi sono le loro risorse materiali, si alterneranno quindi in un susseguirsi di ruoli e vicende, forti della loro arte teatrale.

 


NOTE DI REGIA

Le storie servono a rendere il mondo meno terribile, a immaginare altre vite, diverse da quella che si sta faticosamente vivendo.
Le storie servono ad allontanare, per un poco di tempo, l’alito della morte.
Finché si racconta, e c’è una voce che narra siamo ancora vivi, lui o lei che racconta e noi che ascoltiamo.
Per questo nel Decamerone ci si sposta da Firenze verso la collina e lì si principia a raccontare. La città è appestata, servono storie che facciano dimenticare, storie di amori, erotici, furiosi, storie grottesche, paurose, purché siano storie, e raccontate bene, perché la morte là fuori si avvicina con denti affilati e agogna la preda.
Abbiamo scelto di raccontare alcune novelle del Decamerone di Boccaccio perché oggi ad essere appestato è il nostro vivere civile.
Percepiamo i miasmi mortiferi, le corruzioni, gli inquinamenti, le mafie, l’impudicizia e l’impudenza dei potenti, la menzogna, lo sfruttamento dei più deboli, il malaffare.
In questa progressiva  perdita di un civile sentire, ci è sembrato importante far risuonare la voce del Boccaccio attraverso le nostre voci di teatranti.
Per ricordare che possediamo tesori linguistici pari ai nostri tesori paesaggistici e naturali, un’altra Italia, che non compare nei bollettini della disfatta giornaliera con la quale la peste ci avvilisce.
Per raccontarci storie che ci rendano più aperti alla possibilità di altre esistenze, fuori da questo reality  in cui ci ritroviamo a recitare come partecipanti di un globale Grande Fratello.
Perché anche se le storie sembrano buffe, quegli amorazzi triviali, quelle strafottenti invenzioni che muovono al riso e allo sberleffo, mostrano poi, sotto sotto, il mistero della vita stessa o quell’amarezza lucida che risveglia di colpo la coscienza. Potremmo così scoprire che il re è nudo, e che per liberarci dall’appestamento, dobbiamo partire dalle nostre fragilità e debolezze, riconoscerle e riderci sopra, magari digrignando i denti.

Marco Baliani


PROGETTO GRANDI ITALIANI. ARIOSTO BOCCACCIO MACHIAVELLI


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CHE CI FACCIO QUI? https://www.marcobaliani.it/che-ci-faccio-qui/ https://www.marcobaliani.it/che-ci-faccio-qui/#respond Sat, 02 Jul 2016 07:40:33 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=743 Che ci faccio quiLOCA

regia e drammaturgia Marco Baliani

scene e costumi Carlo Sala

disegno luci Andrea Diana

assistenti scene e costumi Chiara Barlassina, Rosa Mariotti

trucco Donatella Mondani

con Filippo Bedeschi, Federica Carra, Emanuela Caruso, Fonte Maria Fantasia, Matteo Ippolito, Sara Marconi, Paolo Mazzanti, Alberto Patriarca, Desirée Proietti Lupi, Marco Rizzo, Vincenzo Romano, Chiara Serangeli, Carla Valente, Simon Waldvogel

produzione Accademia dei Filodrammatici

si ringrazino Olinda, Cooperativa Sociale Alice

 

Un debutto importante per i neo diplomati della scuola per attori dell’Accademia dei Filodrammatici con un regista d’eccellenza: Marco Baliani.

La domanda che è all’origine dello spettacolo è rubata dal titolo di un libro di Bruce Chatwin, il grande viaggiatore. Che ci faccio qui? è la domanda di chi si sente straniero in una terra, anche se ha scelto di andarvi per spirito di avventura. È la domanda che ogni gioventù si è fatta da quando è sorta la modernità.

Prima di allora era una domanda senza senso, il peso della tradizione e delle consuetudini assegnava ruoli e identità di generazione in generazione, senza possibilità di scartare altrove. È quindi una domanda sui ruoli, sul senso di precarietà dell’esistenza, sulla soglia maledetta della giovinezza, sull’attraversamento da un’età biologica all’altra, sulla scoperta dell’alterità, sulle relazioni affettive.

Marco Baliani ha rivolto questa domanda agli allievi attori e attrici dell’Accademia dei Filodrammatici.

In un anno, per tappe e appuntamenti, ognuno di loro ha cominciato ad accumulare risposte. Il risultato è una serie di suggestioni che la domanda insinua e stimola, e che sono maturate sotto forma di immagini fotografiche, spezzoni di film, cartoni animati, fumetti, poesie, video amatoriali, performance, canzoni, musiche, frammenti di testi, da romanzi o racconti o diari, e poi anche racconti personali, pensieri, riflessioni.

Ora questa mole di materiale forma il testo dello spettacolo, sapientemente riletto e messo a fuoco dal regista stesso.

APPUNTI DI REGIA/MARCO BALIANI

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GIOCANDO CON ORLANDO https://www.marcobaliani.it/giocando-con-orlando/ https://www.marcobaliani.it/giocando-con-orlando/#respond Fri, 01 Jul 2016 23:52:54 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=868 GiocandoConOrlandoLoca

liberamente tratto da Orlando Furioso di Ludovico Ariosto

 

con Stefano Accorsi e Marco Baliani

adattamento teatrale e regia Marco Baliani

scene Mimmo Paladino

impianto scenico Daniele Spisa

costumi Alessandro Lai

disegno luci Luca Barbati

produzione Nuovo Teatro

in collaborazione con Fondazione Teatro della Pergola di Firenze

 

Attore, regista e drammaturgo, Marco Baliani ha trasformato i 38.746 versi dell’Orlando Furioso e le donne i cavalier, l’arme, gli amori nel nuovo spettacolo Giocando con Orlando, un’inedita ballata in ariostesche rime e una singolar tenzone per il palcoscenico da condursi corpo a corpo, rima dopo rima con Stefano Accorsi.

Coincidenze, occasioni e imprevisti hanno generato questa nuova avventura, che parte dal successo dell’edizione di Furioso Orlando, e raccoglie la necessità e la rinnovata sfida di provare a esplorare il testo in una direzione ancor più radicale dove l’arte sublime del giullare e dell’improvvisazione fa risuonare i corpi in scena attraversati da rime, versi, suoni, rumori trasformandoli in uno e in tutti i personaggi e nei mostri e nelle creature magiche del celebre ‘cantare’.

“Lo scorso luglio ero ad Asti – racconta Baliani – per la regia della stagione estiva del Furioso Orlando, ma quel giorno l’attrice – Nina Savary – non è riuscita a prendere l’aereo, le scenografie non sono partite da Napoli e c’erano più di ottocento prenotazioni…Il produttore Marco Balsamo e gli organizzatori erano disperati, con Stefano Accorsi ci siamo messi a tavolino: siamo andati in scena così, senza costumi e luci, improvvisando. Io, che non conoscevo a memoria il testo, ho recitato le parti femminili e ho riprodotto con il suono della voce tutti i rumori di scena. Lì è nata l’idea di creare una nuova messinscena, con soltanto noi due attori in scena, tornando un po’ al fondamentalismo del mio Kohlhaas. È un nuovo esperimento, una nuova tappa di lavoro”.

Stefano Accorsi sarà ancora il paladino Orlando, ma anche il cantore che aggancia i vari episodi nel flusso della storia, Marco Baliani sarà invece un fool, un regista in scena, pronto ad essere spalla e comprimario, a tendere trappole e inventare strofe.

Lo spettacolo parte sempre dalle due storie d’amore principali: il paladino Orlando che insegue la bella Angelica e la guerriera cristiana Bradamante innamorata di Ruggiero, cavaliere saraceno destinato alla conversione, per poi moltiplicare i personaggi, creandone altri intorno, mostri compresi, per condurli a giocare sulla corrispondenza delle rime infilate in un ritmo galoppante, con molta improvvisazione verbale, con rime difficili da trovare, con gesti difficili da compiere.

Mimmo Paladino con i suoi celebri cavalli, realizza la giostra per i duelli, gli amori, gli scontri e gli incontri dei cavalieri che appaiono e scompaiono nel girotondo che il gioco impone. In un impianto scenico firmato da Daniele Spisa si muovono i costumi di Alessandro Lai nel disegno luci di Luca Barbati.

MARCO BALIANI. NOTE DI REGIA

INTERVISTA A STEFANO ACCORSI E MARCO BALIANI


 

 

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FURIOSO ORLANDO https://www.marcobaliani.it/furioso-orlando/ https://www.marcobaliani.it/furioso-orlando/#respond Fri, 01 Jul 2016 23:28:02 +0000 http://www.marcobaliani.it/?p=343 100x140ACCORSI_IGP_CVT

ballate in ariostesche rime per un cavalier errante

adattamento teatrale di Marco Baliani liberamente ispirato all’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto

con Stefano Accorsi, Nina Savary

disegno luci Luca Barbati

costumi Alessandro Lai

scene Bruno Buonincontri

regia Marco Baliani

produzione Nuovo Teatro

in collaborazione con Teatro Stabile dell’Umbria

Il campo di battaglia è allestito, eserciti di fedi diverse sono pronti ad affrontarsi, ma appena il canto parte, tutto si dissolve.

Basta che Angelica fugga a cavallo ed ecco che la Storia grande si sfalda e lascia il passo ad un infinito inseguimento di piccole ma dense vicende, l’un dentro l’altra avviluppate

Dal rocambolesco proliferare di avventure e personaggi che anima la gran giostra dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, ho scelto di seguire una sola traccia, quella che permette all’intero poema, fin dall’inizio appunto, di dispiegarsi e vivere, le orme che Angelica lascia sul terreno, quella è la traccia da seguire.

È come se da subito ci fosse un suono che accompagna tutte le storie, un galoppare di cavalli in corsa, in lotta, in inseguimento, in volo.

Tra i tanti spasimanti inseguitori, ce n’è uno, Orlando, che va precipitando di canto in canto dentro una modernissima patologia, di cui Ariosto è ironicamente consapevole, la fantasmagoria dell’amore non ricambiato.

Il titolo stesso dello spettacolo rovescia l’originale dell’Ariosto, e mette al primo posto la furia dell’amore non corrisposto.

Orlando crede che per il solo fatto che è lui ad amare Angelica, lei debba essere sua, da sempre e per sempre, e non sopporterà che possa essere di un altro, specie poi quando scoprirà che l’altro non è nemmeno un prode cavaliere del suo rango ma un semplice soldato di fanteria.

Allora scatta la furia e la pazzia, la stessa che riempie le nostre quotidiane cronache, con donne che finiscono la loro vita per mano di uomini che dicono di amarle perdutamente.

Ma qui gli inseguimenti e la gelosia e poi ancora la pazzia e la furia vengono risolti con la leggerezza della rima, del gioco sonoro di citazioni e assonanze, con la soavità del volo, perché le storie servono sì a parlare del mondo ma anche a renderlo meno terribile.

Ecco dunque che i duellanti del nostro spettacolo non saranno i tanti paladini e cavalieri sempre attratti da sfide e tenzoni e furti di cavalli e di armerie altrui, ma saranno loro due, Angelica e Orlando, oppure, a volte, con un’altra declinazione dello stesso tema, Ruggiero e Bradamante, uomo e donna insomma, loro si sfidano a singolar tenzone per mostrare i conflitti, le gioie, i dolori, i patimenti che colpiscono come colpi di spada e di lancia, i cuori di chi ama, di chi crede di amare o di essere amato.

Nella nostra giostra anche le ottave dell’Ariosto sono state girovoltate, e altre ne sono nate, cercando di rendere più orale possibile l’impianto letterario, senza perderne la costruzione.

Monologando, narrando, melologando, digressionando, le rime ottave del grande poeta risuonano in sempre nuove sorprese, in voci all’ascolto inaspettate, in suoni all’orecchio stupiti.

Stefano Accorsi è al contempo molti volti e cuori e multiformi voci e diversificati corpi, ed è il cambio di registro interpretativo o vocale o ritmico a restituire il gioco ariostesco, i cambi improvvisi di narrato, le sospensioni, gli appuntamenti posticipati a riprendere il filo e il fiato, i flash back, i corto circuiti.

E al contempo, mentre è facitore di tante storie e volti, deve sempre sentir montare in sé la frenesia fantasmagorica di Orlando, come un vino che fermenta in non sicura botte.

A contrastarlo nel dire e a contrastarlo nell’essere uomo spasimante in perpetua corsa c’è la presenza di Nina Savary, che lo interpella, gli pone questioni, ne commenta le parole, a volte musicando un tema, a volte cantando, o suonando le sonorità sparse che occupano la scena di Bruno Buonincontri con un artigianato sonoro da rumorista radiofonico di un tempo, macchinerie che fanno mare e vento e tempesta e fiato di dragoni volanti, dello stesso color ocra e ruggine dei tendaggi, trapuntati di cuciture di diverse stoffe, che avvolgono tutt’intorno la scena.

A ricucire poi di una leggera malia il tutto ci sono le luci di Luca Barbati, che toccano i personaggi e le storie come farebbe una bacchetta magica spostandone le avventure, nei pochi metri reali dello spazio, in luoghi mitici, lontani, oppure ancora citando e facendo il verso a frammenti di cinema, di fumetti, di cultura pop.

Ogni tanto qua e là scappa una digressione, come succedeva anche all’Ariosto, e per un momento pare che non si stia parlando di guerre da noi troppo lontane, e che forse le anime palpitanti in questa giostra le conosciamo fin troppo bene.

Marco Baliani, Note di regia


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