Pasolini trovava “adorabile” quel che per me dell’Italia era già straziante e sarebbe divenuto terribile. Trovava “adorabili” quelli che inevitabilmente sarebbero stati strumenti della sua morte.

 Leonardo Sciascia

L’opera ruota attorno al “corpo” del poeta, al corpo eretico di Pasolini. Canta l’opera, della relazione conflittuale tra il suo corpo e i corpi di altre figure fondamentali della sua esistenza, i corpi degli “adorabili” ragazzi sottoproletari delle periferie romane e il corpo della madre.

I quadri di cui si compone l’opera si snodano seguendo queste due relazioni, fisiche prima ancora che psichiche.

Nella partita di calcio che torna più volte a riempire la scena, il poeta vede i giocosi corpi dei suoi “ragazzi di vita” impregnati di eros e anarchia, ma col passare del tempo, li guarda, con sofferto sgomento, divenire corpi pronti a vendersi all’edonismo dei consumi, fino a trasformarsi in corpi criminali.

Il corpo materno torna invece più volte nello spettacolo, in immagini o icone tratte dalla cinematografia del poeta.

Una madre sempre troppo piena d’amore, dalla carnalità di Mamma Roma, alla madre incestuosa di Giocasta, alla antica madre Medea fino alla Mater dolorosa che raccoglie il corpo del poeta come nel Vangelo secondo Matteo la madre raccoglieva il corpo di Cristo.

La musica di Mauro Montalbetti lega i quadri in un unico viaggio polisegnico, in una drammaturgia musicale che detta tempi e modi dell’esistere dei vari personaggi, guida il gruppo dei giovani attori danzatori “borgatari” nelle accanite e sempre più violente partite, disegna per i due cantanti Mirko Guadagnini e Cristina Zavalloni partiture che spaziano dall’asperità alla “straziante” dolcezza.

È una musica “stalker” che canta la contraddizione vivente del poeta Pasolini, interpretato in scena da Marco Manchisi che ne “incarna” la minuta, irrequieta corporeità. Le scene di Carlo Sala rimandano a quelle spiagge dirupate dal litorale romano amate da Pasolini, dove il poeta poi incontrerà una morte atroce.

Marco Baliani